Il Lago di Luce di Jack WIlliamson è apparso la prima volta sulla rivista Astounding Stories, nell’aprile del 1931. Noi lo abbiamo tradotto per voi e lo presenteremo in quattro puntate. La prima puntata è apparsa giovedì 3 aprile. Questa è la seconda puntata. La terza il 17 aprile.

 

Ci incamminammo lungo la bianca parete metallica. Vi si erano accumulati neve e ghiaccio in modo irregolare, ma il muro era liscio e ininterrotto. Avevamo ormai proceduto con fatica per circa tre chilometri… avevamo, cioè, percorso più della metà del tratto intorno all’incredibile lago di luce. Cominciavo a dubitare che avremmo trovato qualcosa.

Ma ecco che arrivammo a una torre quadrata, metallica, larga tre metri per parte, sistemata appena fuori dalla parete argentata alta fino alla cima del muro. Qui il ghiaccio era basso; la torre si innalzava per sei metri sopra la superficie irregolare. Su un fianco trovammo delle flange metalliche rivettate, simili ai pioli di una scala. Erano collocate in modo piuttosto scomodo, a un metro abbondante l’una dall’altra, ma riuscimmo comunque ad arrampicarci e al centro della torre c’era un pozzo.

Si presentava come una cavità a pareti lisce, evidentemente profonda parecchie decina di metri. Sul fondo, molto lontano, si vedeva un minuscolo quadrato di luce. Le flange continuavano lungo la parete interna, formando altri pioli della scala che così avrebbe permesso di scendere giù.

Senza esitazione, Ray scavalcò il bordo e iniziò a scendere. Lo seguii, provando un grande sollievo nel sottrarmi al vento gelido. Ray aveva il fucile e le munizioni appese alla schiena e pochi altri oggetti; io portavo solo un piccolo zaino. Avevamo abbandonato la slitta, con la stufa ormai inutile e la maggior parte dei nostri strumenti. Il nostro cibo era completamente esaurito.

Le flange metalliche erano distanti più di un metro tra di loro e non era facile calarsi da un piolo all’altro; di certo non per delle persone morte di freddo, affamate, assetate, sfinite dopo una settimana di marce estenuanti e con i geloni ai piedi che provocavano dolori lancinanti.

«Sai che ti dico, questa cosa non è stata costruita dagli uomini,» osservò Ray.

«Non l’hanno costruita gli uomini? Come sarebbe?»

«Gli uomini avrebbero messo i pioli più vicini tra loro. Jim, temo che siamo di fronte a qualcosa… be’… qualcosa a cui non siamo abituati.»

«Se non l’hanno costruita gli uomini, chi è stato?» chiesi, sbalordito.

«Non ne ho idea! Questo continente è stato isolato dal resto del mondo per molte ere geologiche. Le forme di vita che han trovato qui non sono comuni al resto della Terra. Forse, qualche forma di vita isolatasi in questo luogo, può aver sviluppato intelligenza e acquisito la capacità di costruire quel cono di luce… e anche bruciare le ali di un aeroplano.»

I miei pensieri si affollavano disordinati mentre continuavamo a scendere nel pozzo.

Ci impiegammo un’ora per raggiungere il fondo. Non ho contato i gradini, ma la discesa fu di almeno trecento metri. Man mano che scendevamo l’aria diventava sempre più calda. Sicché, poco per volta, ci togliemmo quasi tutti i pesanti indumenti di pelliccia lasciandoli appesi ai pioli della scala.

Ero molto nervoso. Sentivo la presenza di un potere intelligente e ostile. Temevo enormemente che i costruttori di quei gradini potessero usarli per trovarci e poi schiacciarci senza pietà, così come avevano abbattuto l’aereo di Meriden.

Il piccolo quadrato di luce bianca sotto di noi divenne sempre più grande. Alla fine, vidi Ray spostarsi lateralmente per restare in piedi sotto di me, immerso in un fiume di bianca luminosità. L’aria era calda, umida, carica di una sottile e sconosciuta fragranza che suggeriva la presenza di qualcosa che cresceva. Mi unii a Ray.

Eravamo sul pavimento in nuda pietra di un’enorme caverna. Doveva essere di origine vulcanica. Le pareti scintillavano con la liscia brillantezza del vetro vulcanico. Lo spazio era immenso. Il tetto nero si innalzava per almeno quaranta metri; la grotta era larga molte decine di metri e digradava in lontananza, sparendo nell’oscurità, come se proseguisse verso cavità invisibili ancora più vaste.

La luce che ci illuminava proveniva da una incredibile cascata di fuoco liquido. Dal soffitto si riversava un torrente verticale di fluido bianco, incredibilmente luminoso, che precipitava per quaranta metri in una piscina scintillante di fiamma lunare. Nebbie opalescenti e lucenti turbinavano tutto intorno e il fragore incessante riverberava in tutta la caverna. Mi parve di capire che un flusso di quella sostanza fosforescente uscisse dalla piscina per entrare nella grotta, illuminando le caverne inferiori.

«Molto ingegnoso!» esclamò Ray. «Producono questa sostanza lassù nel cono e la fanno scorrere qui dentro per illuminare l’ambiente.»

«Quest’aria calda è davvero gradevole,» osservai, sfilandomi un altro indumento.

Ray annusò l’aria. «Curioso odore. Sa di qualcosa che fermenta. Dove fermenta qualcosa, ci dovrebbe essere anche qualcosa da mangiare. Vediamo cosa possiamo trovare.»

Intorno a noi, il pavimento era coperto solo da ossidiana nera. Con cautela aggirammo la piscina traboccante di fuoco liquido e seguimmo il corso del ruscello luminoso verso l’interno della caverna. Avevamo percorso solo poche centinaia di metri quando all’improvviso Ray mi bloccò con una mano.

«Giù a terra!» sibilò. «Subito!»

Si buttò dietro un’enorme massa di granito circondato dal fuoco. Mi gettai accanto a lui.

«C’è qualcosa che viene su dal sentiero vicino al fiume di luce. E non è un uomo! È tra noi e la luce; per cui dovremmo vederlo.»

Poco dopo sentii uno strano suono strisciante e un lieve tintinnio metallico. Mi raggiunse un odore potente… uno strano odore, di pesce… tanto intenso da farmi quasi svenire.

La creatura che produceva quel rumore strisciante, quel tintinnio e quel fetore apparve all’improvviso. Vederla mi riempì di orrore.

Era molto più grande di un uomo; il corpo era massiccio come quello di un cavallo, ma più basso sul terreno. Aveva più o meno la forma di un enorme granchio, ma in realtà non assomigliava a nessun crostaceo che avessi mai visto. Era per lo più di colore rosso, ricoperto da un gigantesco carapace scarlatto. Aveva cinque paia di arti. Le due paia anteriori terminavano in chele, che apparentemente usava come mani; avanzava strisciando sulle altre tre paia di zampe. Aveva una testa grottesca su cui ondeggiavano lunghe antenne verdi sottili e luminose. Gli occhi costituiti da molteplici sfaccettature ondeggiavano su peduncoli lunghi mezzo metro.

Quell’incredibile essere simile a un granchio indossava un’imbracatura metallica. Attorno al carapace erano fissate bande di alluminio argentato, con su delle piccole custodie di metallo bianco. In una delle chele sollevava ciò che sembrava a una barra di alluminio, lunga mezzo metro e spessa tre centimetri.

Si trascinò con pesantezza passandoci davanti, nello spazio tra la nostra posizione e il fiume di fuoco bianco che scorreva vivace. Era a non più di cinque metri da noi. Puzzava, un nauseante fetore di pesce, opprimente e insopportabile.

Fui paralizzato da un sudore di puro terrore. Il mostro emanava potere, un potere sinistro e malevolo, un potere intelligente, alieno e ostile.

Tremavo all’idea che potesse vederci, ma la creatura continuò ad avanzare col suo passo goffo e innaturale. Quando fu a venti metri, Ray raccolse silenziosamente un blocco di lava nera lì accanto e lo lanciò con precisione e rapidità. Il masso si schiantò in mille pezzi sulle rocce, ben al di là della creatura, sul lato opposto del fiume luminoso.

Fissai affascinato il mostro mentre si bloccava, sorpreso. I suoi occhi composti scintillanti si torsero sui loro peduncoli, mentre le lunghe antenne verdi oscillavano incerte. Poi gli arti nodosi portarono rapidamente il tubo di metallo bianco in posizione orizzontale. Si udì un clic metallico.

Dal tubo esplose un raggio vivido e intenso di luce rossa. Attraversò il fiume di fuoco emettendo un lampo accecante. Con un tonfo sordo e fragoroso colpì le rocce dove era caduto il sasso. Doveva trattarsi di un raggio di calore concentrato. Sotto il suo impatto, le rocce si accesero di una incandescenza improvvisa, si spezzarono e si sciolsero in torrenti di lava fusa.

Dopo pochi istanti, l’intensissimo raggio cremisi si spense. Le rocce colpite sfumarono in un rosso opaco, poi in nero, continuando a crepitare e sgretolarsi.

Fu con immenso sollievo che vidi il mostruoso granchio riprendere la sua marcia.

«Ecco,» sussurrò Ray, «ciò che ha abbattuto l’ala dell’aereo del Maggiore Meriden.»

Quando non sentimmo più lo strisciare, ci sollevammo dal nostro riparo e continuammo con cautela ad avanzare lungo la caverna, seguendo il rapido fiume luminoso.

Dopo un chilometro, arrivammo a una curva. Oltrepassandola, ci trovammo di fronte a una visione straordinaria.

Eravamo al di sopra di un’enorme cavità nel cuore della terra. Davanti a noi si stendeva un immenso spazio sotterraneo e la lava nera della volta si arcuava ben al di sopra. Era una caverna che giudicammo di molti chilometri, pur non avendo alcun modo per misurarla, e si estendeva indistinta in una lontananza nebbiosa. La enorme cavità era tuttavia decine di metri al di sotto di noi.

Vicino a noi, il fiume di fuoco precipitava in una magnifica cascata luminosa. Più sotto, quel liquido si espandeva a formare fiumi, laghi e canali, attraverso l’immensa pianura. I corsi d’acqua attraversavano una incredibile giungla: una foresta di funghi, enormi forme fungine con grandi steli carnosi e ampie cappelle rotonde. Eppure, non erano del colore biancastro o giallastro dei comuni funghi, ma si presentavano a tinte vivaci: verde brillante, scarlatto fiammeggiante, oro e viola-blu. Enormi steli gialli brillanti alti più di dieci metri, frangiati di cremisi e nero, coronati da cappelle color malva. Era una vera e propria foresta di funghi dai colori fiammeggianti.

Al centro di questa bizzarra pianura sotterranea ricoperta di vegetazione c’era un grande lago, riempito non col liquido infuocato, ma con una oscura acqua cristallina. E sul fondo del lago, chiaramente visibile dall’altura su cui ci trovavamo, sorgeva una città!

Una città sott’acqua! Gli edifici erano cilindri verticali, raggruppati a due o tre, a dieci, addirittura a centinaia. Il fondo del grande lago ne era ricoperto per molti chilometri. Gli edifici erano di cristallo azzurro intenso, brillanti come fossero scolpiti in immensi zaffiri. Si distinguevano nitidamente sotto l’acqua trasparente. Nessuno però emergeva oltre la superficie.

Attraverso l’acqua limpida e nera, vedevamo muoversi centinaia, migliaia di enormi granchi che strisciavano sul fondo duro e ghiaioso. A volte nuotavano tra i cilindri di cristallo della città. I granchi erano grandi come quello che avevamo visto, con carapaci rossi, gli enormi occhi minacciosi sui peduncoli, antenne tentacolari luminescenti di colore verde e chele nodose sugli arti anteriori.

«Sembra che abbiamo trovato qualcosa di cui scrivere a casa» mormorò Ray, sbalordito.

«Un’intera città di questi esseri! Un mondo intero! Non mi stupisco che abbiano costruito quella montagna a forma di cono come impianto di illuminazione!»

«Direi che solo quando hanno cominciato ad abbattere aeroplani col loro raggio termico,» ipotizzò Ray, «magari hanno scoperto che anche altri animali avevano sviluppato l’intelligenza.»

«Secondo te quei funghi sono commestibili?»

«Possiamo provare e vedere… solo se i granchi non ci colpiscono prima con un raggio termico. Ho talmente fame che mangerei qualsiasi cosa!»

Avanzammo con cautela. Il fiume di luce precipitava da una rupe a picco, ma trovammo una scala di metallo fissata alla roccia, con i soliti pioli distanziati in modo scomodo, come quelli del pozzo. Per arrivare fino al fondo bisognava percorrere, credo, centocinquanta metri e ci vollero molti minuti per scendere.

Finalmente mettemmo piede su una piccola radura rocciosa. La foresta di funghi brillanti si innalzava tutto intorno con enormi steli carnosi dorati, ornati da graziose frange nere e scarlatte con le teste appiattite, di un viola intenso.

Ci avviammo con entusiasmo verso la foresta fungina. Nella mia mente si faceva strada l’immagine di me che strappavo grandi pezzi di quella morbida carne dorata e riempivo finalmente lo stomaco dolente per la fame.

Fummo fermati da un grido, acuto, carico di disperata ansia.

Era una ragazza, un essere umano che apparve all’improvviso in mezzo ai funghi correndo verso di noi. Tra singhiozzi e parole incomprensibili, si lasciò cadere ai piedi di Ray, gli avvolse le braccia attorno alle ginocchia e vi si aggrappò, l’esile corpo scosso da pianto convulso.

La mia prima impressione fu che la ragazza fosse incredibilmente bella e mai mi successe di dover cambiare quella prima sensazione. Sul suo giovane corpo snello indossava solo il brandello di uno strano tessuto verde… più che sufficiente nell’aria calda della grande caverna. Lunghi capelli castano dorato le ricadevano sciolti sulle bianche spalle. Doveva avere meno di vent’anni, giudicai; il suo corpo era modellato superbamente, con curve armoniose e movimenti fluidi, liberi, come quelli di un animale selvatico.

Ray rimase immobile per un istante, colpito quanto me, mentre la ragazza continuava a stringergli le ginocchia disperata. Poi, lo stupore si trasformò in pietà.

«Povera ragazza!» mormorò.

Si chinò, la prese teneramente per le spalle e l’aiutò ad alzarsi.

La sua bellezza ci esplose di fronte come una luce accecante. La sua pelle era di un candore perfetto. Due grandi occhi azzurri ci guardavano con una supplica silenziosa quasi straziante, sotto una cascata di capelli dorati. Denti bianchi, e perfetti brillavano dietro il rosso naturale delle sue labbra.

Fissava Ray, rapita da una sorta di stupore incantato. Nei suoi incredibili occhi brillava un’intensa luce di gioia incredula; le labbra erano socchiuse in un sorriso involontario, radioso. Sembrava la principessa triste di una fiaba nel momento in cui le appariva il principe in carne e ossa.

«Mio Dio, sei bellissima!» Le parole scivolarono fuori dalle labbra di Ray come se nemmeno si rendesse conto di averle pronunciate. Arrossì all’istante e fece un passo indietro.

Le labbra della ragazza si schiusero. Emise un suono curioso. Era un richiamo profondo, vibrante di una straordinaria armonia. Un’esplosione di felicità, simile al gorgheggio di un bambino. Ma forte, limpido, aureo come una melodia. Ed era così disperatamente entusiasta, così pateticamente colmo di gioia, che mi sentii stringere il cuore, io che pur sono un vecchio cinico.

Vidi Ray asciugarsi gli occhi.

«Sai parlare?» domandò Ray, con voce chiara e gentile.

«Parlare?» La sua voce, musicale e dorata, era esitante, insicura. «Parlare? Sì. Parlavo… con madre. Ma da tanto… non ho più avuto bisogno di parlare.»

«Dov’è tua madre?» La voce di Ray era dolce.

Fine seconda puntata

 

Traduzione © 2025 Franco Giambalvo
copertina ottenuta con Intelligenza Artificiale, Microsoft Designer.

 

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Fu tra i primi scrittori a specializzarsi nella fantascienza, e i suoi primi scritti risalgono alla fine degli anni venti, quando questo genere era stato da poco definito sulle riviste pulp, soprattutto ad opera di Hugo Gernsback.